Avila, Malagòn, Genova, Cremona e Parma:
le tappe che separano la prima fondazione di Santa Teresa di Gesù (San Giuseppe in Avila, 24 agosto 1562) dalla fondazione del Carmelo di Parma (1635) sono pochissime: le possiamo ripercorrere ad una ad una.
Gli Inizi
Seguiamo dunque l’itinerario, che nel giro di alcuni decenni, porterà la Riforma teresiana a Parma.
Il terzoIl terzo monastero fondato da Santa Teresa fu quello di Malagòn (1568):
e proprio da questa località della Castiglia sarebbero partite le quattro monache destinate alla fondazione di un Carmelo a Genova. Le monache, accompagnate e finanaziate da una pia vedova di origine ligure (che si sarebbe fatta monaca a sua volta), giunsero a Genova nel 1590 e, ad appena otto anni dalla morte di Santa Teresa (1582), il ramo femminile del Carmelo riformato prendeva piede in Italia. Il Signore volle benedire il Carmelo di Genova con una straordinaria fioritura di vocazioni, tanto che nel giro di pochi decenni si poterono effettuare ben cinque nuove fondazioni. Una di queste fu quella di Cremona (1613). Dalla fondazione fino alla soppressione (voluta nel 1782 dal solito Giuseppe II, che non ne voleva sapere di famiglie religiose a suo parere ‘inutili’), il Carmelo di Cremona propagò la Riforma teresiana in tutta la Pianura Padana, attraverso le fondazioni di Milano, Modena, Bologna e Parma.
Fondazione
I Primi Anni
Dunque, siamo arrivati a Parma: dove una serie di circostanze aveva preparato un terreno particolarmente propizio all’introduzione del Carmelo teresiano. Nel 1629 alcune Scalze che da Genova stavano andando a Vienna per una nuova fondazione, avevano fatto tappa a Parma. Un brevissimo soggiorno: ma sufficiente per entusiasmare sia alcune giovani della città, che espressero il desiderio di una fondazione in Parma, sia le principesse di casa Farnese, che caldeggiarono subito tale progetto. I superiori ravvisarono in questi desideri la volontà di Dio e chiesero due monache alla comunità di Cremona onde procedere alla fondazione di Parma. Le monache prescelte arrivarono il 10 marzo, accolte con grande calore dalle principesse di Casa Farnese; presero possesso della casa a loro destinata in Borgo Tanzi (ricordiamo per inciso che nella vecchia Parma spesso le vie prendono la denominazione di Borgo) e il giorno seguente – 11 marzo 1635 – con la celebrazione dell’Eucaristia e la collocazione del Santissimo, il monastero iniziò ufficialmente la sua vita di osservanza regolare. Santa Teresa era morta da poco più di cinquant’anni ed erano ancora in vita molti che l’avevano conosciuta direttamente: tra le mura di Borgo Tanzi si respirava in pieno quell’atmosfera inconfondibile che è il fervore degli inizi.
Gli Anni d’Oro…
La Piccola comunità di Borgo Tanzi, conquistò ben presto una fama di grande santità,
che indusse molte giovani a chiedere l’abito: in pochi anni le monache furono una ventina. Provenienti dagli ambienti più disparati (ragazze del popolo e dame di corte, nobildonne e pie vedove), le Scalze di Parma seppero incarnare lo spirito teresiano con tutta fedeltà senza per questo mortificare – anzi! – la loro bella personalità: e gli aneddoti che le riguardano, raccolti dalla viva voce delle nostre madri antiche, costituiscono ancora un piacevole argomento di ricreazione! In questi primi decenni, che sembrano essere il «secolo d’oro», prese l’abito la più illustre – per nobiltà e ancor più per santità – delle figlie del Carmelo di Parma: la prinicpessa Caterina Farnese, in religione Suor Teresa Margherita (1637-1684). Tanto era stata bizzarra e capricciosa nel mondo, tanto divenne amabile e obbediente in religione. Morì nel corso di un’epidemia, per aver assistito le sorelle inferme, e lasciò il ricordo di una santità generosa e umile; e anche simpatica: fino all’ultimo conservò quella battuta pronta e arguta con cui in gioventù aveva fatto tremare tante volte l’etichetta di corte! Aggiungiamo che l’entrata di Caterina (e di altre giovani nobili e ricche) non mutò lo stile di vita della comunità: le monache rimasero nella loro volontaria povertà; l’orazione era particolarmente fervorosa e non erano poche le monache che chiedevano il permesso di prolungare la preghiera oltre le già molte ore che ad essa la Regola riserva; frequenti erano le grazie mistiche straordinarie, e la loro autenticità era comprovata dalla pratica generosa dell’obbedienza e della carità, che sono i più sicuri test di collaudo sui quali si verifica la credibilità di estasi, visioni e locuzioni. Insomma, un’atmosfera del tutto simile a quella che Santa Teresa descrisse raccontando le sue fondazioni di Spagna. Se si eccettua la grave epidemia nel corso della quale era morta Caterina Farnese (e con lei altre sei monache), il Carmelo di Parma ebbe vita tranquilla fino alla fine del ‘700; nè lo avevano turbato le difficoltà economiche incontrate fin dal secolo XVII: la popolazione della città, che pure amava e stimava molto le Scalze, per molti decenni rimase persuasa (erroneamente!) che la comunità fosse mantenuta di peso dalla casa Farnese: e così le offerte scarseggiavano… Una solerte operosità e la capacità di accontentarsi – segno tipico della povertà evangelica! – posero rimedio all’inconveniente.
… e anni difficili
Ben più grave, invece quanto accadde nel secolo successivo
quando Napoleone fece attuare le note “soppressioni” degli ordini religiosi.
Anche le Scalze dovettero far fagotto, ma riuscirono ugualmente a non disperdersi: infatti trovarono ospitalità presso le Benedettine di Sant’Alessandro, alle quali i funzionari napoleonici avevano concesso – almeno – l’usufrutto di qualche locale della loro grande abbazia. Pochi anni ancora, e l’astro di Napoleone tramontò; grazie all’interessamento di Maria Luigia (già moglie di Napoleone, divenuta duchessa di Parma) le Scalze riuscirono a rientrare nel loro monastero di Borgo Tanzi: ma l’ambiente era stato fortemente danneggiato dai soldati, che lo avevano adibito a caserma. Il restauro fu possibile grazie alle generose sovvenzioni del marchese Carlo Emanuele Mazenta, il quale chiese, come ricompensa, di essere ricordato una volta all’anno con un ufficio dei defunti: cosa che le monache hanno sempre fatto e continuano a fare. Qualche decennio dopo, un’altra burrasca: ossia la soppressione (1866) da parte del neonato governo italiano. Ma, inutile dirlo, da ambo le parti il decreto fu attuato all’italiana: la Priora chiese ed ottenne che la comunità potesse continuare a vivere nell’edificio, che naturalmente era concesso solo in uso, essendone stata ordinata l’espropriazione; per di più, era stata ingiunta la proibizione di ricevere novizie. Le monache non si persero d’animo: definirono inservienti le numerose giovani che continuavano ad entrare nel Carmelo, ed i buoni funzionari dello stato, che periodicamente ispezionavano il monastero, diedero per adempiuta la severa legge. E così, mentre il monastero era ufficialmente soppresso, la comunità non solo continuava la sua vita regolare, ma riuscì pure a sostenere la fondazione di Modena e ad effettuare le fondazione di Venezia (1875). Ma negli ultimi anni del secolo XIX un progressivo inasprimento dei controlli rese sempre più difficile la vita nell’antico monastero di Borgo Tanzi, e per la Comunità iniziava un movimentato periodo di traslochi e spostamenti, che si sarebbe concluso, come vedremo, solo nella seconda metà degli anni cinquanta. Costrette ad abbandonare la casa che aveva visto nascere il Carmelo di Parma e che aveva visto fiorire tanta santità tra le sue mura, le monache acquistarono una povera casa in Borgo Felino, riadattando la chiesetta ad essa annessa. Nel 1929 fu posta sull’altare l’antica immagine di Santa Maria Bianca (sec. XIV), ricuperata dopo mille disavventure, e affidata alle cure dei Carmelitani: fu in quell’occasione che il nostro Carmelo fu dedicato all’Immacolata. Gli anni ‘40 furono segnati dalla presenza incombente della guerra; l’edificio di Borgo Felino, in posizione centralissima e vicino ad alcuni punti strategici, era particolarmente esposto ai bombardamenti. La Comunità allora condivise il destino delle migliaia di sfollati che cercavano sicurezza nelle campagne; una generosa famiglia di Basilicanova ospitò le monache per oltre un anno: un aiuto davvero provvidenziale, giacchè la casa di Borgo Felino fu colpita e gravemente danneggiata nel corso di un’incursione aerea. Quando le monache fecero ritorno in Parma si resero conto che il convento, già decadente al momento dell’acquisto, era quasi inagibile. Fu sconsigliato qualunque tentativo di restauro: e la comunità, sostenuta dal coraggio della settantacinquenne priora Madre Pierina Valli (1881-1975) si avventurò nella costruzione di un nuovo e funzionale edificio. Il monastero, che fu disegnato da una delle nostre monache, fu portato a termine in tempo brevissimo e nel 1957 la Comunità (che nel frattempo era stata gentilmente ospitata presso una famiglia di Mamiano), potè prenderne
la nostra comunità oggi…
Il Bel Monastero dell’Immacolata, con la sua luminosa Chiesa,
ispirata allo stile romanico, in origine si trovava in aperta campagna, a sud-est del centro cittadino; gli anni ‘60 videro un eccezionale proliferare di costruzioni, ed ora occorre un occhio esperto per riconoscere, tra la selva dei palazzoni, la sobrietà monastica del mattone grezzo e delle finestre sormontate da scritte devote su piastrelle in ceramica. La Chiesa, dove troneggia la fedele Santa Maria Bianca, è frequentata da un cospicuo numero di cari ed esemplari fedeli, nei giorni festivi così come nei giorni feriali nè mancano diverse iniziative che, compatibilmente con la vita di clausura, vogliono essere per la città uno stimolo alla preghiera: recita pubblica del Rosario, incontri di preghiera, affidamento dei bambini alla Madonna (4 gennaio), adorazione vocazionale mensile. Tutti momenti preziosi; ma l’apostolato più vero – come conferma il recente documento pontificio Verbi Sponsa – rimane quello della preghiera silenziosa che giunge al Cuore di Dio e che dal Cuore di Dio silenziosamente si irradia su ogni uomo che viene in questo mondo.