Ben più grave invece quanto accadde nel secolo successivo, quando Napoleone fece attuare le note soppressioni degli ordini religiosi. Anche le Scalze dovettero far fagotto, ma riuscirono ugualmente a non disperdersi: infatti trovarono ospitalità presso le Benedettine di Sant’Alessandro, alle quali i funzionari napoleonici avevano concesso – almeno – l’usufrutto di qualche locale della loro grande abbazia. Pochi anni ancora, e l’astro di Napoleone tramontò; grazie all’interessamento di Maria Luigia (già moglie di Napoleone, divenuta duchessa di Parma) le Scalze riuscirono a rientrare nel loro monastero di Borgo Tanzi: ma l’ambiente era stato fortemente danneggiato dai soldati, che lo avevano adibito a caserma. Il restauro fu possibile grazie alle generose sovvenzioni del marchese Carlo Emanuele Mazenta, il quale chiese, come ricompensa, di essere ricordato una volta all’anno con un ufficio dei defunti: cosa che le monache hanno sempre fatto e continuano a fare. Qualche decennio dopo, un’altra burrasca: ossia la soppressione (1866) da parte del neonato governo italiano. Ma, inutile dirlo, da ambo le parti il decreto fu attuato all’italiana: la Priora chiese ed ottenne che la comunità potesse continuare a vivere nell’edificio, che naturalmente era concesso solo in uso, essendone stata ordinata l’espropriazione; per di più, era stata ingiunta la proibizione di ricevere novizie. Le monache non si persero d’animo: definirono inservienti le numerose giovani che continuavano ad entrare nel Carmelo, ed i buoni funzionari dello stato, che periodicamente ispezionavano il monastero, diedero per adempiuta la severa legge. E così, mentre il monastero era ufficialmente soppresso, la comunità non solo continuava la sua vita regolare, ma riuscì pure a sostenere la fondazione di Modena e ad effettuare le fondazione di Venezia (1875). Ma negli ultimi anni del secolo XIX un progressivo inasprimento dei controlli rese sempre più difficile la vita nell’antico monastero di Borgo Tanzi, e per la Comunità iniziava un movimentato periodo di traslochi e spostamenti, che si sarebbe concluso, come vedremo, solo nella seconda metà degli anni cinquanta. Costrette ad abbandonare la casa che aveva visto nascere il Carmelo di Parma e che aveva visto fiorire tanta santità tra le sue mura, le monache acquistarono una povera casa in Borgo Felino, riadattando la chiesetta ad essa annessa. Nel 1929 fu posta sull’altare l’antica immagine di Santa Maria Bianca (sec. XIV), ricuperata dopo mille disavventure, e affidata alle cure dei Carmelitani: fu in quell’occasione che il nostro Carmelo fu dedicato all’Immacolata. Gli anni ‘40 furono segnati dalla presenza incombente della guerra; l’edificio di Borgo Felino, in posizione centralissima e vicino ad alcuni punti strategici, era particolarmente esposto ai bombardamenti. La Comunità allora condivise il destino delle migliaia di sfollati che cercavano sicurezza nelle campagne; una generosa famiglia di Basilicanova ospitò le monache per oltre un anno: un aiuto davvero provvidenziale, giacchè la casa di Borgo Felino fu colpita e gravemente danneggiata nel corso di un’incursione aerea. Quando le monache fecero ritorno in Parma si resero conto che il convento, già decadente al momento dell’acquisto, era quasi inagibile. Fu sconsigliato qualunque tentativo di restauro: e la comunità, sostenuta dal coraggio della settantacinquenne priora Madre Pierina Valli (1881-1975) si avventurò nella costruzione di un nuovo e funzionale edificio. Il monastero, che fu disegnato da una delle nostre monache, fu portato a termine in tempo brevissimo e nel 1957 la Comunità (che nel frattempo era stata gentilmente ospitata presso una famiglia di Mamiano), potè prenderne