Abbiamo ricordato in più occasioni come il Vangelo porti a compimento le aspettative che affiorano in tante credenze pagane e che fanno emergere quella sete di verità e salvezza che è marchio di fabbrica dell’uomo, di ogni uomo. Una considerazione che vale in modo particolare per le tradizioni di primavera, la stagione-simbolo del trionfo della vita sulla morte. Tradizioni che si «rafforzano» ulteriormente quando, come avviene tuttora in vaste aree, il primo giorno di primavera coincide con il capodanno. È il caso del nowruz, antichissima festa persiana (stando ai racconti mitologici, avrebbe qualcosa come 15mila anni!) che nel corso dei secoli si è allargata a macchia d’olio, spingendosi fino all’Albania e introducendosi in Cina: ovviamente con qualche cambiamento di nome e «liturgia», ma la sostanza è rimasta intatta. Grandi pulizie domestiche nei giorni precedenti, addobbi vegetali in tutta la casa, e tavola imbandita all’inverosimile con una schiera di portate e di oggetti decorativi che rappresentano altrettanti auspici augurali. Gli agganci con le tradizioni nostrane di primavera non mancano: oltre al bisogno di pulizia e freschezza, nel nowruz troviamo la passione per i falò, la voglia di convivialità, il simbolismo alimentare e perfino i piatti ricoperti di verdissimi cereali germogliati, quelli che nel nostro sud vengono chiamati lavurielli. No, non sono agganci dovuti a improbabili scambi culturali, ma piuttosto manifestazioni di una comunione di desideri e speranze che hanno la loro radice nella struttura stessa dell’uomo. Altro esempio di protagonista primaverile, l’acqua purificatrice: anche in questo caso, i gavettoni delle campagne polacche o delle strade di Budapest o Sofia hanno la stessa matrice – e la stessa festosità – di quelli che pullulano in tutta la Thailandia. Bisogno di rinascita, bisogno di luce, bisogno di colori: le tenere tinte pastello dei nostri biglietti, nastri e incarti pasquali hanno un riscontro nel lancio di polveri colorate delle feste primaverili indù, o nel rito dell’hanami, la contemplazione dei peschi in fiore che ogni anno rapisce i sensibilissimi giapponesi. E qui bisogna riconoscere che la natura ci mette molto del suo, così come nelle antiche celebrazioni celtiche o messicane, dove la luce primaverile gioca con i monumenti che a loro volta sono stati studiati proprio in previsione dei movimenti del sole e dei suoi raggi.

Ma non è solo la natura a intersecarsi con i riti primaverili sgorgati dal cuore dei popoli. Con il Vangelo è lo stesso Uomo-Dio che scende in campo. Dovete rinascere da acqua e spirito, oppure sono venuto a portare un fuoco sulla terra o ancora chi ha sete venga a me e beva o vino nuovo in otri nuovi: non sono altrettante risposte di Gesù alle aspirazioni «primaverili» dei cuori, anche se queste aspirazioni, in parte inconsapevoli, si manifestano mediante lancio di polveri o spruzzate di acqua? E come Gesù ha dato le risposte – anzi, ha offerto Sé stesso come Risposta per eccellenza – alla sostanza delle domande, analogamente la Chiesa sua sposa ne ha assunto con profondo rispetto i gesti popolari e li ha battezzati nell’altissima dignità del gesto liturgico. Di esempi in questo senso, se ne trova un concentrato nella Settimana Santa e nella Veglia Pasquale: lo sventolio dei rami d’ulivo, la convivialità – e con quale Cibo! – dell’Ultima Cena, l’accensione del fuoco con il relativo passaggio dal buio alla luce, la benedizione dell’acqua che molti ancora portano gelosamente a casa definendola la nuova acqua santa, le litanie dei Santi che ci mettono in presa diretta con la vita per eccellenza, la vita eterna. Il tutto, sullo sfondo di una stagione che parla di rinascita e novità: la stagione dell’Annunciazione, e la stagione in cui – secondo una delicata tradizione – Dio creò il mondo; o piuttosto la stagione di cui Dio rivestì il mondo nel momento in cui lo creò. E noi contempliamo, come frutto dell’Incarnazione, il matrimonio felice tra il tempo e l’eternità.

Indizi di primavera nel nostro chiostro
 
C’è un Vangelo nascosto nelle tradizioni di primavera