Elisabetta della Trinità

Infanzia

Elisabetta bambina

Elisabetta Catez nasce il 18 luglio del 1880, nel Campo d’Avor, zona militare dove è d’istanza il padre, Giuseppe che è capitano. La madre, Maria, racconta della sua primogenita: «A un anno si manifestava già la sua natura ardente e collerica. Era molto precoce nel parlare e non aveva che diciannove mesi quando una grave malattia di mia madre mi chiamò in tutta fretta nel Mezzogiorno. Durante il nostro soggiorno fu predicata una missione  che si sarebbe dovuta concludere con la Benedizione dei bambini. Una religiosa mi venne a chiedere se la piccola non avesse un bambolotto per rappresentare Gesù Bambino nel presepe, doveva essere vestito con un abito pieno di stelle dorate e non riconoscibile agli occhi della bambina. Condussi la piccola alla cerimonia: dapprima fu distratta dalle persone che arrivavano, ma quando il parroco dall’alto del pulpito annunciò la Benedizione, Elisabetta gettò uno sguardo al presepio, riconobbe la sua bambola e in un trasporto di collera e con gli occhi furiosi gridò: “Jeannette! Ridatemi la mia Jeannette!” La bambinaia fu costretta a portarla via in mezzo all’ilarità generale. Questa natura ardente e collerica non fa che accentuarsi… ». La famiglia si trasferisce a Digione, a causa del lavoro di Giuseppe. Qui nasce nel 1883 Margherita, “Guite”. Un grande dolore si abbatte presto sulla famiglia Catez: il 2 ottobre 1887 muore per attacco cardiaco il padre. Anni dopo Elisabetta ricorderà così questo tragico momento: “Nelle mie fragili braccia di bambina / abituate ad accarezzarti tanto / si consumò la tua rapida agonia / questa suprema lotta nella vita! / Invano mi sforzai di trattenere / l’ultimo e affannoso tuo respiro!…

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Elisabetta è una bimba collerica e capricciosa. Guite, la sorella minore scriverà di lei: «Era assai vivace, anzi collerica! Delle collere, delle vere collere! Un diavolo! La sua collera nella prima infanzia era talvolta così violenta che si minacciava di mandarla al “Buon Pastore” (una casa di rieducazione vicina) e si preparava la sua valigetta.» Sì. Ma Elisabetta ha un segreto che la trasformerà “dal di dentro”: la PREGHIERA.  «La preghiera mi era così cara e amavo talmente il buon Dio, che già prima di fare la mia prima comunione, non comprendevo come fosse possibile dare il proprio cuore ad un altro; e da allora decisi di non amare che Lui e di non vivere che per Lui». E proprio la prima comunione segnerà la sua “conversione”. Ecco come ne parla anni dopo: «L’anima mia divenne [da allora] sua dimora, sua proprietà, suo regno e da quel giorno, da quel colloquio misterioso e santo non pensai che a donargli la mia vita, a ricambiare un po’ del grande amore del mio Diletto nell’Eucaristia, ospite del mio cuore» . La piccola Elisabetta comincia a lottare contro la sua natura impetuosa. Si morde le labbra per non rispondere male alla mamma, che è piuttosto severa. Un giorno quest’ultima, stupita per il cambiamento della figlia, sbotta: «Ma insomma, arrabbiati!!». Non è che Elisabetta non senta ribollire dentro di sé la sua natura, ma, per amore di Cristo vuole a tutti i costi imitarLo, lasciarLo vivere in sé, Lui mite ed umile di cuore. La sua forza la attinge nella preghiera, questo colloquio sempre più intimo con Dio, da cui si sente amata. Verso i sette anni Elisabetta si confida con il Canonico Angles. «Era sera. Le bambine, stanche di giocare, avevano intavolato una conversazione infantile. Elisabetta, con una manovra maliziosa e sapiente, era riuscita ad arrampicarsi sulle mie ginocchia. Svelta svelta, avvicinandomisi all’orecchio, mi dice: “Signor Angles, io sarò monaca, voglio farmi monaca!..” Credo che avesse allora sette anni… Non potrò mai dimenticare l’esclamazione un po’ irritata della madre. “Ma che dice mai quella pazzerella!” La signora Catez ricorda benissimo il chiostro in cui venne a trovarmi l’indomani, domandandomi con ansia se credevo che fosse una vera vocazione. Io le risposi allora una parola che come una spada le trapassò l’anima: “credo di sì”.»

Adolescenza… in musica!

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La signora Catez iscrive all’età di 8 anni Elisabetta al conservatorio di Digione. La piccola si rivela un vero talento, partecipando a diversi concorsi e ricevendo le lodi dei giornali locali. Sua madre, però, ci tiene a  mantenerla nell’umiltà, consapevole che la virtù vale più delle capacità naturali. Uscite da un concerto in cui le sembrava di aver eseguito davvero bene il suo pezzo Elisabetta le chiede: «Come ho suonato, mamma?» – «Così così.» – «La prossima volta cercherò di fare meglio.» La nostra beata non andrà a scuola, ma una signorina le darà a casa delle lezioni private. La sua formazione generale resterà quindi piuttosto lacunosa, e anche nello scrivere in francese farà sempre degli errori. La sua adolescenza trascorre serena in mezzo a molte amiche che invitano la sua famiglia a passare le vacanze da loro. «Sono soddisfattissima delle mie vacanze. Siamo rimaste quindici giorni a Gemeaux presso la signora de Sourdon che non si decideva mai a farci partire e ci siamo divertite un mondo. Facevamo delle interminabili partite a pallamaglio e delle ottime passeggiate, senza contare che non dimenticavo di coltivare la mia musica…» Ma il cuore di Elisabetta nasconde un segreto. Le sue confidenze al can. Angles non erano fantasie infantili. «Stavo per compiere 14 anni, quando una mattina, durante il ringraziamento della Comunione, mi sentii spinta irresistibilmente a scegliere Gesù per mio unico sposo, e senza indugio mi legai a Lui con il voto di verginità. Non ci scambiammo parola, ma ci donammo l’un l’altra, con un amore così forte, che la risoluzione di non appartenere che a Lui divenne in me ancora più definitiva.»

La prova

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Elisabetta ragazza

Elisabetta confida alla mamma il suo desiderio: entrare al Carmelo. La signora Catez non dà il suo consenso. Vuole che la figlia attenda i 21 anni – la maggiore età – nella speranza che possa ancora cambiare idea. Si apre quindi una fase molto dolorosa della vita della beata. «Se sapesse quanto soffro a vedere la desolazione della mia povera mamma via via che si avvicinano i miei 21 anni. Ella subisce diversi influssi: un giorno mi dice una cosa, l’indomani è il contrario… Com’ è duro far soffrire quelli che si amano, ma è per Lui! Se Egli non mi sostenesse, in certi momenti, mi domando che cosa diventerei, ma Egli è con me e con  Lui si può tutto.» Ma non è solo questa la prova di Elisabetta. Sua madre vuole che, come le ragazze della sua età, partecipi alla vita di società. Come restare fedele al suo desiderio di intimità con Dio essendo così immersa nelle cose del mondo? Ecco che questa giovane di 18 anni capisce che anche nel mondo, tra gite, balli, vari divertimenti, il cuore può rimanere raccolto, in una cella interiore, accanto al suo Amato. «Che la mia vita sia una continua orazione, un lungo atto d’amore. Che niente mi possa distrarre da te, né i rumori, né le distrazioni, niente non è vero? Amerei tanto, o mio Maestro, vivere con te nel silenzio. Ma ciò che amo soprattutto è fare la tua volontà, e poiché tu mi vuoi ancora nel mondo, mi sottometto di tutto cuore per amor tuo. Ti offro la cella del mio cuore, che essa sia la tua piccola Betania; vieni a riposarti qui, ti amo tanto…» Non bisogna però credere che Elisabetta sia una giovane malinconica che non sa apprezzare la vita. No! Il suo sguardo di fede, il suo amore per Cristo la portano a cercare di dare sempre gioia e pace a coloro che la circondano e a saper apprezzare ogni cosa come un dono che viene da Dio. «A S.Ilario ci hanno offerto così lauti pranzi che i nostri stomaci chiedevano pietà. A Limoux passiamo da una festa all’altra…. La nostra permanenza qui è stata tutto un seguito di divertimenti: pomeriggi danzanti, pomeriggi musicali, scampagnate. La società di Tarbes è quanto mai piacevole…. L’altro ieri ho compiuto 18 anni, la signora de Rostang mi ha regalato una stupenda guarnizione per camicetta, in turchese… Ti lascio per sistemare le valige… Vado matta per queste montagne che ho davanti mentre ti scrivo e mi sembra che non potrò più farne a meno.»

L’ingresso al Carmelo

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Il 2 agosto 1901 Elisabetta Catez entra al Carmelo di Digione. Riportiamo la testimonianza estratta dal libro “Souvenirs” (Ricordi) che la madre priora pubblicherà dopo la morte della beata: «Eravamo alla vigilia del primo venerdì del mese, ed Elisabetta, fedele al suo appuntamento nel Getsemani, aveva passato in preghiera gran parte della notte, quando ecco la mamma, non potendo prendere sonno, venire ad inginocchiarsi accanto al suo letto, dando libero sfogo alle sue lacrime, alle quali si univano quelle della figlia, che non cercava di dissimulare lo schianto del suo cuore. “Ma allora perché lasciarmi?” – diceva la madre – “ Ah! Mamma cara, potrei resistere alla voce di Dio che mi chiama? Egli mi tende le braccia e mi dice che è sconosciuto, oltraggiato, abbandonato.  Posso abbandonarlo anch’io? È necessario che io vada…” Giunto il momento di abbandonare per sempre il focolare domestico, Elisabetta si inginocchiò dinanzi al ritratto di suo padre, chiedendogli la sua benedizione.» Dopo il doloroso distacco, la giovane postulante si immerge nella vita carmelitana, con grande gioia. «Non trovo espressione per dire la mia felicità. Qui non c’è più altro, nient’altro che Lui. Lui è tutto, Lui basta, non si vive che di Lui. Lo si trova dappertutto, al bucato come all’orazione! S’immagini la sua Elisabetta nella sua piccola cella che le è così cara: è il nostro santuario, tutto per Lui e per me…»

Nascosta con i “Tre”

Suor Elisabetta

Elisabetta della Trinità passerà solo cinque anni in monastero, prima di tornare alla casa del Padre. In questo periodo importantissimo  – anche se  breve – approfondirà quella che potremmo chiamare la sua “dottrina”. Già nel mondo aveva fatto esperienza della “inabitazione trinitaria”, cioè del fatto che i “tre” – come lei chiamava il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo – dimorano nella sua anima e le chiedono di vivere in ogni istante, in ogni occupazione alla loro Presenza. Un incontro con il domenicano La Vallée poco prima di entrare in monastero, la illuminerà dal punto di vista dottrinale su questo mistero che è già così vivo in lei. Al Carmelo la scoperta delle epistole di san Paolo gettano una luce nuova sul suo cammino: l’apostolo le svela il “troppo grande amore” con cui Dio la ama fin dall’eternità. Così la sua esperienza di Dio diverrà così profonda da poter essere comunicata. Nelle numerose lettere ai famigliari e alle amiche Elisabetta guiderà, conforterà, sosterrà, indirizzando le anime ad aprirsi sempre più ad un intimo cuore a cuore con Dio. «Sono “Elisabetta della Trinità”, cioè Elisabetta che scompare, si perde nei Tre e si lascia invadere da loro. Al mattino svegliamoci nell’Amore, tutto il giorno abbandoniamoci all’Amore, adempiendo la volontà del buon Dio, sotto il suo sguardo, con Lui, in Lui per Lui solo. Doniamoci ininterrottamente nella forma da Lui voluta. Quando poi viene la sera, dopo un dialogo d’amore che non è mai cessato nel nostro cuore, addormentiamoci ancora nell’Amore. Forse vedremo dei difetti delle infedeltà: abbandoniamole all’Amore. È un fuoco che consuma. Facciamo così il nostro purgatorio nell’Amore!»

Il Calvario

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Le piccole grazie preparano quelle più grandi; e così anche le prove. Elisabetta, al Carmelo, vive con grande fedeltà il dono di sé attraverso le piccole croci quotidiane che la vita di tutti i giorni presenta. Il clima, le incomprensioni, le difficoltà di ogni genere, i contrattempi. Ogni evento, lieto o triste, «è un sacramento che mi dà Dio», capisce la beata. E si sforza di accoglierlo con fede e abbandono. Questo esercizio d’amore la prepara a salire sul Calvario insieme al suo Sposo Divino. Nel 1906 una grave malattia allo stomaco – allora incurabile – comincia a manifestare i suoi sintomi. Nel marzo di quell’anno viene ricoverata in infermeria. Elisabetta non può più nutrirsi, e le pare che bestie feroci le divorino lo stomaco, per i vivi dolori che prova. Ma, anche in questa drammatica situazione, sa riconoscere la mano del Cristo, suo Amato, che la conduce alla piena conformità con Sé. Scriverà alla priora: «Madre mia, sento così vicini a me i miei Tre e sono più sotto il peso della gioia che del dolore. Il Maestro mi ha ricordato che Egli è la mia dimora e non spetta a me scegliere le mie sofferenze. Mi getto perciò con Lui nel mare del dolore con tutte le mie paure e le mie angosce.» Il 9 novembre 1906 Elisabetta conclude, fisicamente consumata dalla malattia, il suo pellegrinaggio terreno. Pochi giorni prima aveva detto: «Vado alla luce, alla vita, all’amore.»

Mai sola

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Elisabetta della Trinità ha scoperto che non è mai sola. No, la sua anima è DIMORA DI DIO, luogo della sua presenza. Elisabetta si senta abitata dalla Trinità e impara a vivere con il suo Dio che mai l’abbandona. «[ecco] ciò che ha fatto della mia vita, glielo confido, un cielo anticipato: credere che un Essere, che si chiama l’amore, abiti in noi ad ogni istante del giorno e della notte e ci domandi di vivere in società con Lui; ricevere in egual modo, come derivante direttamente dal suo amore, ogni gioia, ogni dolore; questo eleva l’anima al di sopra di ciò che passa, di ciò che stritola, e la fa riposare nella pace, la dilezione dei figli di Dio.» «Pensa che la tua anima è il tempio di Dio… ad ogni istante del giorno e della notte le tre Persone Divine abitano in te. Tu non possiedi la S. Umanità come quando ti comunichi, ma la Divinità, quest’essenza che i beati adorano in cielo, essa è nella tua anima. Quando si ha coscienza di questo, si entra in un’intimità davvero adorabile, non si è più soli mai! Se preferisci pensare che Dio è accanto a te piuttosto che in te, segui la tua inclinazione purché tu viva con Lui. […] pensa che tu sei con Lui ed agisci come con un essere che si ama. È così semplice; non c’è bisogno di belle parole, ma di effusione del cuore.» «Che gioioso mistero la presenza di Dio dentro di noi, in questo intimo santuario delle nostre anime dove sempre lo possiamo trovare anche quando non avvertiamo più sensibilmente la sua presenza! Che importa il sentimento? Forse Egli è anche più vicino quando meno lo sentiamo. È qui, nel fondo dell’anima, che amo cercarlo.»

Crescere nell’amore

La beata Elisabetta ci mostra un modo molto concreto per crescere nell’amore che può essere messo in pratica quale che sia il nostro stato di vita. La partecipazione alla Messa deve infatti fiorire nella quotidianità con uno sguardo nuovo sulla realtà, che ci insegna a valorizzare ogni piccolo contrattempo, malessere, disagio per maturare nella carità.

«Mi chiede come possa sopportare il freddo. A casa soffrivo l’inverno molto più che al Carmelo [dove non vi era riscaldamento]… Il buon Dio soccorre con le sue grazie. Del resto è così bello, quando si ha a che fare con queste piccolezze, rivolgere lo sguardo al Maestro adorato che ha sostenuto ogni sorta di sofferenza perché “ci ha troppo amato” come dice san Paolo! In quei momenti si sperimenta la sete di dargli amore per amore. Sacrifici di questo genere se ne incontrano di continuo al Carmelo, ma sono così dolci quando il cuore è posseduto dall’amore! Vuol sapere come mi comporto di fronte ad una piccola fatica? Guardo il Crocifisso e vedendo come Egli si è sacrificato per me, sento che non posso far altro che prodigarmi per Lui, che logorarmi per restituirgli un po’ di quello che mi ha dato! La mattina alla S. Messa uniamoci intimamente al suo spirito di sacrificio… Dopo, durante la giornata, teniamoci sempre in Lui…»

Marta e Maria

I santi del Carmelo ci insegnano a tenere insieme Marta e Maria, l’aspetto orante, contemplativo e quello attivo. Il loro segreto? Avere un cuore AVIDO di stare con Dio, affamato della sua Parola, della sua Presenza. Insomma, un cuore INNAMORATO di Lui. Solo così sarà possibile cercarlo e trovarlo anche in mezzo a mille occupazioni, perché Lui, da parte sua, non ci abbandona mai!

«Non hai forse [anche] tu la passione di ascoltare [Gesù]? È così forte talvolta questo bisogno di tacere! Si vorrebbe non saper far altro che rimanere, come la Maddalena, questo bel tipo di contemplativa, ai piedi del Maestro, avidi di comprendere fino in fondo, di penetrare sempre più intimamente questo mistero di carità che è venuto a rivelarci. Non ti pare che durante l’attività, quando si fa la parte di Marta, l’anima possa restare sempre tutta adorante, sepolta come la Maddalena nella sua contemplazione, attaccata a questa sorgente come un’assetata? […] Mi sembra che bisognerebbe avvicinarsi tanto al Maestro, avere tanta comunione con la sua anima, accordarsi in tutto ai suoi movimenti e poi andare a compiere la volontà del Padre…»

Beata Elisabetta della Trinità

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Santa Elisabetta della Trinità