Tre giorni, ed è San Biagio. Uno di quei santi di cui tutti conoscono il nome e quasi nessuno conosce la vita. Armeno, medico e veterinario, vescovo, taumaturgo, morto martire agli inizi del secolo IV. Un episodio spicca si tutti: l’intervento su un bimbo che stava soffocando a causa di una lisca di pesce. Il santo vescovo gli fece ingoiare un pezzo di pane e lo benedisse. È bello vedere questa interazione tra fede e conoscenza scientifica: da bravo medico, Biagio sapeva che un boccone voluminoso e morbido facilmente «cattura» le lische e le rende inoffensive. La fede fece il resto e il bambino si salvò. Con il risultato che il vescovo armeno è rimasto per tutti – anche per gli allergici alle chiese – il protettore della gola. A questo patronato si collegano le due belle tradizioni del 3 febbraio. La prima consiste nella benedizione della gola effettuata con due candele avanzate dalla Candelora (a loro volta utilizzate in caso di temporali, tempeste e malattie), incrociate e legate con un nastro; la seconda consiste nella benedizione di un pane, che poi viene consumato devotamente in famiglia. In Lombardia e in molte altre zone del Nord Italia – Parma compresa – il pane è sostituito dal panettone: ammettiamo pure che in questo caso serpeggi una operazione di marketing per sistemare i panettoni invenduti, ma la fede resta fede e la benedizione resta benedizione. Ancora un paio di giorni, ed ecco che nel Sud si affaccia Sant’Agata con i suoi pani benedetti, le cui briciole vengono sparse sul fuoco se si sviluppa un incendio.
Domanda numero uno: se tanto mi dà tanto, quante saranno nella tradizione cristiana queste distribuzione di cibi e oggetti benedetti? Molte, dalle rose di Santa Rita al pane di Sant’Antonio di Padova, dall’olio di Santa Filomena al sale di Sant’Antonio Abate, dalle uova sode di Pasqua alle arance (ancora) di San Biagio, dalle erbe dell’Assunta alle ciliegie della Provvidenza… Senza contare le benedizioni dei campi, delle puerpere, degli animali, dei fienili, degli utensili, degli automezzi… A questo punto sorge la domanda numero due: non sono troppe, con l’annesso rischio dell’inflazione e magari della superstizione? D’accordo: rattrista il cuore il vedere la fila davanti a un cibo benedetto e il deserto davanti al tabernacolo. Ma questa contraddizione non ci impedisca di ammirare comunque l’inesauribile generosità di Dio, che lo porta a riversare la sua benedizione su tutto, tanto più se è qualcosa che si lega in qualche modo ai suoi amici più cari, i Santi: come se non potesse trattenere il suo amore e il suo desiderio di beneficarci, e quasi gli «sfuggisse» dalle mani la sovrabbondanza della sua grazia. E qui viene alla mente una benedizione tutta carmelitana: quella dell’acqua del Santo taumaturgo Alberto da Trapani. Quando morì (1307), davanti al suo convento si assiepò una folla di fedeli che chiedevano una sua reliquia. Il buon confratello preposto alla distribuzione, vedendo che le reliquie si esaurivano, ebbe l’idea di riempire d’acqua un grande recipiente e di immergervi una delle poche reliquie rimaste. Ebbene, l’acqua divenne miracolosa quanto le reliquie «di prima mano». Il contatto con la santità contagia, potremmo concluderne. D’altronde le creature del mondo sono sane e tutto, dal frutto all’utensile, esiste perché pensato da Dio, e come tale contiene un segreto di bellezza e di bontà, di grazia e di santificazione. Se ci sembra che Dio si abbassi nell’impregnare ogni cosa di Sé, pensiamo piuttosto che sono le cose ad essere innalzate e come rese sacre dalla misteriosa dimora, quanto meno per essenza, che Dio pone in esse. Esattamente come profetizza Ezechiele (14, 20) nella sua visione dei tempi messianici, alias il Regno di Dio: In quel tempo anche sopra i sonagli dei cavalli si troverà scritto: «Sacro al Signore», e le caldaie nel tempio del Signore saranno come i bacini che sono davanti all’altare. Dunque, benedizione anche per finimenti e pentole.