Un piccolo rituale: il moto di compassione, la mano che si tende, il contatto con il malato e la volontà di risanarlo. È quanto ci presenta il Vangelo odierno, con un racconto simile – ma mai identico – a quello delle innumerevoli guarigioni operate dal Signore. Mai identico, dicevamo. Perché Gesù si compiace di fornirci un variegato campionario terapeutico: la guarigione che sembra quasi strappata alla volontà del Signore e la guarigione offerta senza alcuna richiesta previa, la guarigione progressiva e quella immediata, quella ottenuta attraverso il tocco della saliva e quella impetrata dall’insistenza degli amici, quella che Gesù attribuisce alla sola fides del malato e quella effettuata a distanza, quella in cui Gesù comanda direttamente alla malattia e quella che passa attraverso l’umile fango. Gesti, parole e situazioni che vogliono offrirci altrettanti insegnamenti, dalla necessità della fede al valore dell’insistenza, dall’importanza dell’intercessione alla validità di una guarigione non necessariamente immediata, fino a un preannuncio della nobiltà che la materia assumerà nei Sacramenti. Ma ciò che davvero opera – come si vede bene proprio nel racconto odierno – è la volontà di Gesù, in cui convergono la sua potenza, la sua compassione, e il suo pensiero.

Il pensiero di Dio! Se il pensiero dell’uomo è cosa tanto sublime da costituire una prova della sua stessa esistenza – obbligatorio citare il cartesiano cogito ergo sum – ci chiediamo allora che cosa mai sarà il pensiero di Dio. Presto detto: è il Verbo. È Gesù. Nella sua perfezione infinita il Padre «genera» un pensiero necessariamente perfetto, nel quale Egli si possa riflettere con totale appagamento. E siccome i pensieri di Dio non sono come i nostri pensieri peregrini (che svolazzano di qua e di là, facilmente senza capo né coda e magari contraddicendosi tra di loro), ne deduciamo come questo pensiero perfetto sia connaturale a Dio e, come Lui, sia eterno. Se il latino chiama Verbum il frutto di questa generazione, il greco può utilizzare un termine ancora più pertinente, e cioè Logos. Un termine di rara pregnanza, che indica sia il pensiero che la parola; e che esprime la perfezione del Padre, per il quale non può esistere – come invece succede per noi, ahimè! – una parola che non sia pensata, e neppure un pensiero che non prenda vita. E la vita che scaturisce dal Verbo è a sua volta così sovrabbondante da «ispirare» l’intera creazione, come canta poeticamente San Giovanni della Croce: Passando per i monti e per le valli/ spargendo per i boschi mille grazie/ l’Amato con il semplice suo sguardo/ adorni li lasciò d’ogni bellezza.

Concetti difficili. Ma non al punto di non poterne intuire un luminoso barlume e magari percepirvi, anche confusamente, la matrice infinita dalla quale deriviamo. E dalla quale abbiamo tratto, appunto, la facoltà di pensare. Il fatto che di questa facoltà facciamo un uso intermittente o addirittura malvagio, nulla toglie alla sua grandezza originaria. Essendo a immagine e somiglianza di Dio, il nostro pensiero è una forza creatrice che ci permette di costruire non solo delle realtà esterne, ma – ancor di più – quel mondo interiore nel quale Dio vuole abitare. Ed è uno spazio infinitamente libero – santuario al quale solo il suo Creatore ha pieno accesso – dove ciascuno di noi, nel bene e nel male, può formulare i suoi giudizi e operare le sue scelte più profonde; e dove Dio scruta – quasi con trepidazione, ci vien da dire – gli orientamenti che desideriamo dare alla nostra esistenza.

Lo aveva capito il già citato San Giovanni della Croce, che con la sua logica cristallina amava portare le affermazioni alle loro estreme – e stupende – conseguenze. Un solo pensiero dell’uomo – ci dice – vale più di tutto il mondo; pertanto soltanto Dio è degno di esso. Ma vale la pena di ripeterlo nell’originale, armonioso (e accessibile) spagnolo: Un solo pensamiento del hombre vale más que todo el mundo; por tanto, solo Dios es digno de él.

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Il nostro pensiero, riflesso luminoso del Pensiero di Dio.