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Volto Santo della Sindone

1° Ottobre

SANTA TERESA DI GESU’ BAMBINO

Dottore della Chiesa

Teresa Martin nasce ad Alençon (Francia) il 2 gennaio 1873, nona ed ultima figlia di Luigi Martin e Zelia Guérin. Come lei stessa dirà la sua infanzia si divise in due grandi periodi fra loro contrastanti: prima la gioia e la felicità di un caldo ambiente familiare (Il buon Dio si è compiaciuto di circondarmi d’amore), poi il dolore e l’eccessiva sensibilità in seguito alla morte della madre, avvenuta a soli 4 anni dalla sua nascita (1877).In questo momento la bambina si lega più fortemente alla sorella Paolina, scegliendola come sua nuova mamma. Tutta la famiglia si trasferisce allora nella nuova casa ai Buissonnets (Lisieux) e la piccola rimane circondata dal grande affetto del papà e delle sorelle.

Dotata di estrema precocità, impara a pregare con fervore. Già all’età di tre ha l’abitudine di “non rifiutare nulla al Buon Dio”.

Quando il 2 ottobre 1882 proprio la sorella Paolina entra per prima al Carmelo di Lisieux (tutte e cinque le sorelle rimaste in vita diverranno religiose), in seguito a questo nuovo forte distacco, Teresa è colpita gravemente dalla malattia dalla quale sarà guarita solo più tardi per intervento della Madonna («d’un tratto mi penetrò fino in fondo il sorriso incantevole della Vergine, allora tutte le mie sofferenze svanirono … »; Scritto Autobiografico A, 94)Ma il decisivo momento della fine dell’infanzia teresiana si verificherà solo successivamente con la guarigione e la «completa conversione» del Natale 1886: «Teresa non era più la stessa. Gesù aveva cambiato il suo cuore in un istante … » (Scritto Autobiografico A, 133-134). Come primo esito la piccola Teresa scopre in se stessa una grande sete apostolica. E’ colpita dal grido di Gesù in croce: «Ho sete»; «Volevo dar da bere al mio diletto e mi sentivo io stessa divorata dalla sete di anime. Non erano ancora le anime sacerdotali ad attirarmi, ma quelle dei grandi peccatori» (Scritto Autobiografico A, 134). L’omicida Pranzini, la cui condanna viene eseguita in quei giorni, e per il quale lei intercederà, diventa il suo «primo figlio», primo frutto di una fede resa ormai certa.

A questo tempo risale anche l’audace conquista dell’ingresso al Carmelo. Pellegrina con i familiari a Roma, osa domandare al papa Leone XIII: «Beatissimo Padre… in onore del vostro giubileo permettetemi di entrare al Carmelo a quindici anni»; «E’ una bambina che desidera entrare al Carmelo » (Scritto Autobiografico A, 174) commenta monsignor Révérony, vicario generale di Lisieux e guida dei pellegrini a Roma in quell’occasione. Il permesso viene presto concesso, contro ogni parere ispirato a umana prudenza. I mesi che separano Teresa dall’ingresso in clausura sono il tempo di una grande scuola di abbandono: «Capii il valore del tempo che mi veniva offerto e risolsi di darmi più che mai a una vita seria e mortificata… le mie mortificazioni consistevano nel rompere la mia volontà sempre pronta ad imporsi, nel trattenere una battuta di risposta, nel rendere servizietti senza farli valere.., fu per mezzo di questi nonnulla che mi preparai a diventare la fidanzata di Gesù» (Scritto Autobiografico A, 190).

Lunedì 9 aprile 1888 la piccola Teresa varca la soglia del Carmelo, ha quindici anni e tre mesi. Ma i suoi primi passi incontrano “più spine che rose”. “La sofferenza le tende le braccia, e poiché vi riconosce Gesù”, come scriverà, ella “vi si getta con amore”. Anche il sopraggiungere della malattia del padre, verrà a provarla duramente mentre è ancora postulante. Il 10 gennaio 1889 la santa riceve l’abito carmelitano e prende il nome religioso di suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo. Al termine del noviziato fa la professione, è l’8 settembre 1890, giorno delle sue «nozze». Per lei ha inizio un nuovo periodo di maturazione silenziosa attraverso la croce di una continua aridità. «L’aridità divenne il mio pane quotidiano»; «Gesù mi fece comprendere che mi avrebbe dato anime per mezzo della croce e la mia attrattiva per la sofferenza crebbe man mano che il patimento aumentava» (Scritto Autobiografico A, 207).

Ancora giovanissima, Teresa possiede una personalità adulta; infatti ha solo diciannove anni quando viene investita della responsabilità di aiuto-maestra delle novizie.

Alla fine dell’anno 1894 risale l’incontro commovente con la parola del profeta Isaia: “Come una madre carezza il suo bimbo così vi consolerò, vi porterò sul mio cuore, e vi terrò sulle mie ginocchia” e, poco dopo, la scoperta della via dell’amore che condurrà Teresa al gesto più fecondo: offrirsi come Vittima all’Amore Misericordioso. E’ il 1895. Questa data segna una tappa importante della sua vita. Da questo momento il suo proposito è di “vivere in un atto di perfetto Amore”, convincere con la vita che Dio è Amore e Misericordia. Trova in questo anche il compimento, tanto sospirato, della ricerca della sua vocazione: “Nel cuore della Chiesa, mia Madre”, “essere l’ Amore”, ed in questo modo “essere tutto”.

Questa consumazione dell’amore predetta da Teresa comincerà a diventare reale con il manifestarsi della tubercolosi (la notte tra il giovedì e il venerdì santo – 2/3 aprile 1896 – subisce la prima emottisi).Sono anni importanti, in cui non è risparmiata da forti prove anche nella fede ed in cui sente che “le tenebre più spesse invadono la sua anima”. “Interiormente sono sempre immersa nella prova, ma anche nella pace”, dirà alla sorella. «Quando canto la felicità del Paradiso, l’eterno possesso di Dio, non provo nessuna gioia, perché canto solo ciò che voglio credere». Alla santa è chiesto di «mangiare alla mensa dei peccatori», di vivere l’assenza di fede di coloro che sono lontani da Dio, di condividerne l’amarezza e con loro imparare a domandare pietà. Intanto il disfacimento del suo corpo progredisce. L’8 luglio deve essere trasferita nell’infermeria. Dal 15 agosto alla fine di settembre sopraggiunge l’ultimo aggravarsi del male. Dice: «Non avrei mai pensato che fosse possibile soffrire tanto», e «non vorrei soffrire per meno tempo» e ancora ripetutamente: «Non mi pento di essermi offerta all’amore». Morirà la sera del 30 settembre 1897, a soli 24 anni, guardando il Crocifisso ed esclamando “Mio Dio! Io vi amo!”.

Se la prima grande intuizione di Teresa era stata la scoperta dell’amore, come vocazione che diventa il criterio di lettura di tutta la sua vita, in un secondo momento dopo aver fatto esperienza della sua povertà e piccolezza e non trovando in se stessa la forza per raggiungere la santità tanto desiderata e voluta, cercherà nelle Sacre Scritture un nuovo aiuto: “Chi è molto piccolo venga a Me” (Pr 9, 4). E’ la sua risposta. E’ la nuova via dell’infanzia spirituale.

Scriverà: “Ah!, mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l’anima mia. L’ascensore che deve innalzarmi fino al cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre di più” (Scritto Autobiografico C, 271).

E’ la «piccola via», come è stata definita, la via della confidenza e dell’abbandono, la via della virtù teologale della speranza. Teresa infatti spessissimo userà definirsi una «bambina», «la piccola», anche nelle scelte più impegnative.

Inoltre, se da bambina a Teresa era stato insegnato a conquistarsi il paradiso attraverso i meriti: «Il mio cuore era ripieno di gioia e ardeva dal desiderio di ammassare grandi tesori». Adesso farà esperienza non solamente dell’inadeguatezza delle nostre opere, bensì che esse possono diventare «ricchezza ingiusta» quando diventano pretesa di una grazia che ci viene data. Dovrà così demolire il fariseismo di una santità basata sulla «tentazione della perfezione» (Von Balthasar, 175), fino a pervenire a una purezza di amore che imita lo stesso amore di Dio, curvandosi piuttosto su tutta la propria e altrui debolezza come luogo della grazia e quindi della resurrezione, perché «E’ proprio dell’amore abbassarsi». «La santità non consiste in queste o quelle pratiche, essa consiste nella docilità del cuore che ci fa diventare piccoli e umili nelle braccia di Dio, consapevoli delle nostre debolezze e fiduciosi fino alla temerarietà nella sua bontà paterna» (NV, 3 agosto). D’altra parte già all’inizio della sua autobiografia aveva scritto: «Ho capito… che la perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell’essere come vuole Lui» (Scritto Autobiografico A, 5).

Mantenendo sempre un Amore Esclusivo e verginale per Cristo Sposo, Teresa seppe essere Madre di anime, Sorella e Figlia esemplare. Umiltà, semplicità evangelica, abbandono in Dio e carità fraterna furono le virtù principali che anche instancabilmente inculcò alle sue novizie con la parola e con l’esempio.

Scomparsa in così tenera età dalla terra dei vivi, Teresa, tuttavia, non tarderà a fare il giro del mondo attraverso la sua autobiografia “Storia di un’Anima” e a realizzare quanto aveva promesso ancora in vita: “… passare il suo cielo a fare del bene sulla terra”. E’ stata canonizzata nel 1925, dichiarata patrona delle missioni insieme a San Francesco Saverio nel 1927 e proclamata, per la ricchezza straordinaria della sua dottrina, Dottore della Chiesa nel 1997 da Giovanni Paolo II.

Anche i suoi genitori (Luigi Martin e Maria Zelia Guérin) sono oggi beati.

Alcuni brani dai suoi scritti:

L’immagine dell’uccellino

Io mi considero come un uccellino debole, coperto di un po’ di piuma lieve; non sono un’aquila, ho dell’aquila soltanto gli occhi e il cuore perché, nonostante la mia piccolezza estrema, oso fissare il Sole divino, il Sole dell’Amore, e il mio cuore prova tutte le aspirazioni dell’aquila…

L’uccellino vorrebbe volare verso quel Sole che affascina gli occhi, vorrebbe imitate le aquile, sue sorelle che vede elevarsi fino alla divina dimora della santissima Trinità… Ahimé! Tutto quello che può fare, è sollevare le sue alucce, ma volar via, questo non è nelle sue piccole possibilità. Che ne sarà di lui? Morirà di dolore vedendosi così impotente? No! L’uccellino non se ne affliggerà nemmeno. Con un abbandono audace vuol fissare ancora il suo Sole divino: niente gli fa paura, né vento, né pioggia, e se le nuvole pesanti nascondono l’Astro d’amore, l’uccellino non cambia posto, sa che di là dalle nubi il Sole splende sempre, che la sua luce non si offuscherà nemmeno per un attimo …

Ma Gesù io lo so, e Tu lo sai, spesso questo cosino minimo e imperfetto, pur rimanendo al suo posto (cioè sotto i raggi del Sole), si lascia distrarre un poco dalla sua occupazione unica, becca un granellino di qua o di là, corre dietro a un vermiciattolo … Poi, trovando una pozzanghera, si bagna le piume appena spuntate, vede un fiore che gli piace, allora la sua piccola testa si occupa di quel fiore… e poi, non potendo planare come le aquile, il povero uccellino s’interessa ancora alle piccolezze della terra. Tuttavia, dopo questi malestri, invece di andare a nascondersi in un angolino per piangere la sua miseria e morir di pentimento, l’uccellino si volge verso il Sole amato, presenta ai raggi benefici le alucce bagnate, geme come la rondine, e con un canto dolce racconta tutti i particolari della sua infedeltà, pensando nel suo abbandono temerario di acquistare così maggior diritto, attirare più pienamente l’amore di Colui che non è venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori.

Se l’Astro adorato rimane sordo al lamento cinguettato della sua creaturina, se rimane velato, ebbene, la creaturina resta bagnata, accetta di essere intirizzita di freddo, e si rallegra ancora di questa sofferenza che ha pur meritata… Gesù, com’è felice il tuo uccellino di essere debole e piccolo. Oh che sarebbe di lui se fosse grande? …

(Scritto autobiografico B, 260 – 262)

La mia vocazione : l’amore!

Durante l’orazione, i miei desideri mi facevano soffrire un vero martirio: aprii le epistole di  san Paolo per cercare una risposta. I capitoli XII e XIII della prima epistola ai Corinzi mi caddero sotto gli occhi. Lessi, nel primo, che tutti non possono essere apostoli, profeti, dot­tori, ecc.; che la Chiesa è composta di diverse membra, e che l’occhio non potrebbe essere al tempo stesso anche la mano (1Cor 12, 29). La risposta era chiara, ma non colmava il mio desi­derio, non mi dava la pace. Senza scoraggiarmi, continuai la lettura, e trovai sollievo in questa frase: « Cercate con ardore i doni più perfetti, ma vi mostrerò una via ancor più perfetta » (1Cor 12, 31). E l’Apo­stolo spiega come i doni più perfetti sono nulla senza l’Amore. La Carità è la via per eccellenza che conduce sicuramente a Dio. Finalmente avevo trovato il riposo. Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in alcuno dei membri descritti da san Paolo, o piuttosto vo­levo riconoscermi in tutti. La Carità mi dette la chiave della mia vocazione.

Capii che, se la Chiesa ha un corpo composto da diverse membra, l’organo più necessario, più nobile di tutti non le manca, capii che la Chiesa ha un cuore, e che questo cuore arde d’amore. Capii che l’amore solo fa agire le membra della Chiesa, che, se l’amore si spegnesse, gli apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue… Capii che l’amore racchiude tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola che è eterno. Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante, esclamai: Gesù, Amore mio, la mia vocazione l’ho trovata final­mente, la mia vocazione è l’amore!

Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo po­sto, Dio mio, me l’avete dato voi! Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l’amore. Così, sarò tutto… e il mio sogno sarà attuato!

(Scritto autobiografico B, 253 – 254)

Come “bambini piccoli”

Le chiesi, la sera, che cosa intendesse per « restare bambino piccolo dinanzi a Dio »; mi rispose:

È riconoscere il proprio nulla, sperare tutto da Dio mi­sericordioso, come un bambinello attende tutto dal suo babbo; è non inquietarsi di alcunché, non guadagnare ric­chezze. Anche i poveri danno al bambino quanto gli è ne­cessario, ma appena egli cresce, il padre non vuole più man­tenerlo, e gli dice: Lavora! Ora puoi bastare a te stesso. È per non sentirmi dire così che ho preferito non crescere; mi sentivo incapace di guadagnarmi la vita, la vita eterna del Cielo! Perciò, sono rimasta sempre piccola, senz’altra occu­pazione che di cogliere fiori, i fiori dell’amore e del sacrificio, e offrirli al Signore, per suo piacere.

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Essere piccoli, vuol dire anche non attribuire affatto a noi stessi le virtù che pratichiamo, non crederci capaci di nulla, ma riconoscere che Dio misericordioso pone il tesoro della virtù in mano al suo bimbo, perché questi se ne serva quando ne ha bisogno; ma il tesoro è sempre di Dio. Infine, è non perdersi d’animo per le proprie mancanze, perché i bimbi cadono spesso, ma sono troppo piccini per farsi un male grosso.

(Novissima Verba, 6 Agosto)

Sulla confidenza, sulla fiducia illimitata:

Rivolgendosi alla sorella Sr Maria del Sacro Cuore: Ah! Sento bene che … quello che piace al Buon Dio nella mia piccola anima è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà, è la speranza cieca che ho nella sua misericordia. Ecco il mio tesoro, madrina cara. Perché questo tesoro non potrebbe essere il suo … ? O mia sorella diletta, comprenda, la prego, la sua figliolina, comprenda che per amare Gesù, essere la sua vittima d’amore, più si è deboli, senza desideri né virtù, più si è adatti alle operazioni di quest’amore consumante e trasformante.

Il solo desiderio di essere vittima basta, ma bisogna consentire a restare sempre povere e senza forza, e qui sta la difficoltà, perché “dove trovarlo il vero povero di spirito? ”. “Bisogna cercarlo molto lontano”, … “molto lontano” cioè non in mezzo alle grandi anime ma nella bassezza e nel nulla. Ah! Restiamo il più lontano possibile da tutto ciò che brilla, amiamo la nostra piccolezza, desideriamo di non sentire nulla. Allora saremo povere di spirito, e Gesù verrà a cercarci, per quanto lontane ci troviamo, e ci trasformerà in fiamme d’amore … Oh! Come vorrei poterle far capire quello che sento! … E’ la confidenza, e nient’altro che la confidenza che deve condurci all’amore …

(Lettera 176)

Il suo primo “figlio

Il grido di Gesù sulla Croce mi echeg­giava continuamente nel cuore: “Ho sete!”. Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo… Vol­li dare da bere all’Amato, e mi sentii io stessa divorata dalla sete delle anime. Non erano ancora le anime dei sa­cerdoti che mi attraevano, ma quelle dei grandi peccatori, bruciavo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne…

Per eccitare il mio zelo, Dio mi mostrò che i miei desideri gli piacevano. Intesi parlare d’un grande criminale, ch’era stato condannato a morte per dei delitti orribili*, tutto faceva prevedere ch’egli morisse nell’impenitenza. Volli a qualunque costo impedirgli di cadere nell’inferno, e per arrivarci usai tutti i mezzi immaginabili; consapevole che da me stessa non potevo nulla, offersi al buon Dio tutti i meriti infiniti di Nostro Signore, i tesori della santa Chiesa, finalmente pregai Celina di far dire una Messa secondo la mia intenzione, … avrei voluto che tutte le creature si unissero con me per implorare la grazia a favore del colpevole. Sentivo in fondo al cuore la certezza che i desideri nostri sarebbero stati appagati; ma, per darmi coragg­io e continuare a pregare per i peccatori, dissi al buon Dio che ero sicura del suo perdono per lo sciagurato Pranzini: e che avrei creduto ciò anche se quegli non si fosse confessato e non avesse dato segno di pentimento, tanta fiducia avevo nella misericordia infinita di Gesù, ma che gli chiedevo solamente « un segno » di pentimento per mia semplice consolazione… La mia preghiera fu esaudita alla lettera!

Nonostante la proibizione che papà ci aveva posta di leggere giornali, non credetti di disobbedire leggendo le notizie su Pranzini. Il giorno seguente alla sua esecuzione capitale mi trovo in mano il giornale: “La Croix”. L’apro con ansia, e che vedo? Ah, le mie lacrime … Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo e stava per passare la testa nel lugubre foro, quando a un tratto, preso da una ispirazione subitanea, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presentava, e bacia per tre volte le piaghe divine! Poi l’anima sua va a ricevere la sentenza mise­ricordiosa di Colui che dice: « Ci sarà più gioia in Cielo per un solo peccatore il quale faccia penitenza che per no­vantanove giusti i quali non ne hanno bisogno… ». Avevo ottenuto « il segno » richiesto, e quel se­gno era la riproduzione fedele delle grazie che Gesù mi aveva fatte per attirarmi a pregare in favore dei peccatori.

(Scritto autobiografico A, 134 – 136)

* Il Pranzini: aveva commesso un triplice assassinio nella notte dal 16 al 17 marzo. Condannato alla ghigliottina il 13 luglio, salì il patibolo il 31 agosto.

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Desideri di salvare le anime

Non era davanti alle piaghe di Gesù, vedendo cadere il suo Sangue divino, che la sete delle anime mi era entrata nel cuore? Volevo dar loro da bere quel Sangue immaco­lato che avrebbe purificato le loro macchie, e le labbra del « mio primo figlio » andarono a posarsi sulle piaghe san­te!!! Quale risposta dolcissima! Ah, dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare anime crebbe giorno per giorno; mi pareva udire Gesù che mi dicesse, come alla Samaritana: « Dammi da bere ». Era un vero scambio di amore; alle anime davo il Sangue di Gesù, a Gesù offrivo quelle anime stesse rinfrescate dalla rugiada divina … mi pareva così di dissetarlo, e più gli davo da bere più la sete della mia povera anima cresceva, ed era quella sete ar­dente che egli mi dava come la bevanda più deliziosa del suo amore.

(Scritto autobiografico A, 136)

Sulla sofferenza

Rivolgendosi alla sorella Sr Maria del Sacro Cuore: “ Non è forse pronta a soffrire tutto ciò che il Buon Dio vorrà? Sì, certamente. Allora, se desidera sentire della gioia, provare dell’attrattiva per la sofferenza, è la sua consolazione che cerca, perché quando si ama una cosa, la pena svanisce. […] Si ricordi delle parole del padre (P. Pichon): “ I martiri hanno sofferto con gioia e il Re dei martiri ha sofferto con tristezza”. Sì, Gesù ha detto: “Padre, allontana da me questo calice!”.

(Lettera 176)

Sulla fede

Che Gesù mi perdoni se gli ho fatto dispiacere, ma egli sa bene che, pur non avendo il godimento della fede, mi sforzo tuttavia di compierne le opere. Credo di aver compiuto più atti di fede da un anno, che non in tutta la vita. Ad ogni occasione nuova di battaglia, quando il nemico mi provoca, mi conduco da valoroso; sapendo che la viltà consiste proprio nel battersi a duello, volgo la schiena all’avversario senza degnarlo di uno sguardo; corro verso il mio Gesù, gli dico che sono pronta a versare fino all’ultima stilla di sangue per testimoniare che esiste un Cielo. Gli dico che sono felice di non godere di quel bel Cielo qui, sulla terra, affinché Egli l’apra per l’eternità ai poveri increduli. Così, nonostante questa prova che mi toglie ogni godimento, posso dir tuttavia: “Signore, voi mi colmate di gioia con tutto ciò che fate” (Salmo 91,5). Perché, esiste forse una gioia più grande che soffrire per amore vostro? …

(Scritto autobiografico C, 279)

… ma, Signore, la vostra figlia ha capito la vostra luce divina, vi chiede perdono per i suoi fratelli, accetta di nutrirsi per quanto tempo voi vorrete del pane di dolore e non vuole alzarsi da questa tavola colma di amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori prima del giorno che voi avete segnato. Ma anche lei osa dire a nome proprio e dei suoi fratelli: “Abbiate pietà di noi, Signore, perché siamo poveri peccatori!” (Lc 18,13). Oh Signore, rimandateci giustificati … che tutti coloro i quali non sono illuminati dalla fiaccola limpida della fede, la vedano finalmente … Gesù, se è necessario che la tavola insozzata da essi sia purificata da un’anima la quale vi ama, voglio ben mangiare sola il pane della prova fino a quando vi piaccia introdurmi nel vostro regno luminoso. La sola grazia che vi chiedo è di non offendervi mai!

 (Scritto autobiografico C, 277)

Digitalizzazione di prova

Da una sua poesia: “Vivere d’amore”

Vivere d’Amore è custodirti. Verbo increato! Parola del mio Dio!

Vivere d’Amore … con Gesù è salire il Calvario, è guardare la Croce come un Tesoro!

Vivere d’Amore è imitare Maria che bagna di pianti, di profumi preziosi i tuoi piedi divini e li bacia rapita asciugandoli coi suoi lunghi capelli…

«Vivere d’Amore, che strana pazzia!». Mi dice il mondo. «Ah! smetti di cantare Non perdere il tuo profumo, la tua vita, Sappi impiegarli utilmente!…». Amarti, Gesù, che perdita feconda!… Tutti i miei profumi son tuoi senza ritorno. Voglio cantare, lasciando questo mondo: «Muoio d’Amore».

(Poesia 17)

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Santa Teresa di Gesù Bambino (Lisieux)